QUESTO E’ UN UOMO, QUESTA UNA DONNA
Storia di un prete, di una famiglia felice e di un mare di se.
da “Quattro ore nelle tenebre” di P.Mazzarello.
Testo e regia Ian Bertolini
Con
Giuseppina Facco e Ian Bertolini.
Monferrato, 1943. Lisa Finzi ed Enrico Levi, rispettivamente zii dello scenografo Lele Luzzati e dello scrittore Primo Levi, scappati da Genova allo scoppio della guerra, dopo la strage di Meina capiscono che i nazisti stanno arrivando ed è solo questione di tempo. Con una coppia di amici, i coniugi Soria, cercano disperatamente rifugio a presso un antico santuario, dove da qualche anno è approdato uno strano prete, don Luigi Mazzarello. Intelligente, affascinante e dal passato turbolento sui piroscafi dei migranti verso le Americhe, nel mezzo della guerra che infuria don Luigi riuscirà con abilità a resistere alle intimidazioni dei nazifascisti e alle pressioni dei suoi superiori, aiutando i partigiani e salvando la vita dei suoi protetti ebrei.
NOTE DI REGIA
Inutile dire quanto la storia di don Luigi Mazzarello sia straordinaria, talmente ricca di avvenimenti da rasentare il limite del surreale. Eppure sembra essere tutto vero, magistralmente raccontato e dimostrato in “Quattro ore nelle tenebre” di Mazzarello. E’ l’umanità dei personaggi che mi ha colpito, l’essere sempre e comunque consapevoli di sé stessi, il continuare a procedere laddove tutto sembra essersi fermato da tempo. Ecco perché credo sia necessario raccontare in teatro questa vicenda, non tanto per gli scenari di morte in cui essa avviene, che a volte potrebbero sfociare in un istinto di monumentale ricordo di una storia più e più volte raccontata, quanto per singola vita privata, laddove per privata non si intende personale, quanto scardinata dal proprio presente. Ho deciso di eliminare ogni orpello, ogni parola di troppo, ogni inutile gesto per focalizzare la mia attenzione sui personaggi, sulle vite, sulla loro essenza. Basta un suono, una parola, una piccolissima scena che muta per fare entrare i burattini nel loro teatrino, ma è molto complesso farli agire nel proprio presente senza farli apparire romanzati o completamente onirici. Non ci sono eroi in questa vicenda e non devono esserci. Ci sono personaggi straordinari che non hanno la necessità di essere mitizzati. Personaggi con le loro psicologie interne, i cui i gesti apparentemente eroici terminano con il palesarsi dei propri limiti e della propria condizione umana. I miei personaggi sono attivi, ripescati e immortalati come in una fotografia nel momento stesso in cui essi agiscono. Ho affidato la narrazione ora ad un uomo, ora ad una donna, a prescindere dalla propria condizione sociale in quanto entrambi sono sempre vittime della buriana che li circonda. Non esistono vittime vincitrici nel momento stesso in cui soffrono e si consumano le vicende, esistono i superstiti, ma questa è un’etichetta relativa al dopo. Ci ritroveremo perciò ad avere due burattini nudi che si vestiranno dei personaggi a seconda delle vicende, che verranno pilotati da un mangiafuoco invisibile, se non attraverso i suoi stessi racconti. Nonostante questo continuo vestirsi e spogliarsi non perdono mai l’essenza, restano burattini o nel caso specifico semplicemente esseri umani. Non bisogna però dimenticare che si tratta di una storia vera, realmente accaduta e che in nessun modo necessita di essere inventata o reinterpretata. Le vicende sono assolutamente narrate così come mi sono pervenute, il mio sforzo più grande è stato e ancora sarà quello di immaginare il più possibile la verità dei fatti. Ho fatto uso talvolta di esperienze personali laddove mi era necessario aumentare il livello di umanità dei personaggi e poiché dell’essere umano si conosce veramente poco, l’unico modo è provare a raccontare sé stessi. Come ho già fatto con i lavori precedenti, vorrei che le vicende apparentemente private e locali si inserissero in quella che noi definiamo Storia studiata sui libri di scuola e che la minuscola vita privata si andasse ad incuneare in quell’insieme di piccole storie collettive che formano la memoria di un popolo. Parafrasando la letteratura nota, che in uno straordinario gioco di intrecci e parentele sfiora i miei personaggi sul piano del reale, ho intitolato questo spettacolo “Questo è un uomo, questa una donna”, trasmutando così il “Se” di primo Levi in un mare di punti interrogativi che ci condizionano l’esistenza.
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